Parliamo di fragilità ai tempi del Covid-19
In questo periodo di pandemia sentiamo tanto parlare di ‘fragilità’, termine che da sempre siamo stati abituati ad usare principalmente nei confronti di quelle persone che, per via dell’età, ritenevamo più vulnerabili, più deboli, più delicate: infatti, in ambito sanitario, questo termine definisce la condizione di una persona, generalmente anziana, con problemi di salute e che sta subendo un graduale declino psico-fisico.
Ma il termine fragilità, che nel corso degli anni ha subito diverse mutazioni, ancora oggi è un concetto in continua evoluzione, tanto che l’emergenza da Covid-19 ce lo ha dimostrato.
Se in principio il concetto era correlato prevalentemente alla presenza di malattie croniche o bisogno di servizi sanitari per persone anziane (anni ’70), man mano sono stati inseriti altri fattori che nell’insieme sono: fisici, sanitari, sociali, ambientali ed economici. Fatto sta che oggi la persona fragile “è colui o colei che deve affrontare numerose difficoltà (salute, disabilità, gestione e di contesto) con un’instabilità clinica strutturale medio-alta che lo vincola ad essere curato in maniera prolungata nel tempo. La guaribilità può essere probabile o meno a seconda della sua gravità. Tale soggetto, difatti, è definito un paziente complesso” (De Toni, Giacomelli, Ivis, 2010).
La fragilità, quindi, viene considerata come una “condizione di rischio elevato rispetto a delle conseguenze avverse che producono un significativo peggioramento della qualità della vita“. Questa descrizione rappresenta la fragilità come una condizione di salute instabile, causata dalla presenza di uno o più dei seguenti problemi determinanti della fragilità:
1. problemi di salute fisica e psichica, quali poli-patologie con instabilità clinica;
2. problemi di disabilità fisica e cognitivo-comportamentale, dovuti alla perdita di autonomia, memoria ed equilibrio;
3. problemi di gestione del paziente, rispetto alla somministrazione di farmaci ed alimentazione, con difficoltà nel trasporto, nella gestione economica e nei rapporti relativi al sistema socio-sanitario;
4. problemi di contesto familiare e socio-ambientale, dovuti a una famiglia inadeguata per vedovanza, assenza assistente familiare, relazioni sociali deboli o assenti, problemi di contesto ed economici (definizione di fragilità posta in essere dalla Società italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)”.
Con il 2020 si è quindi ulteriormente aggiornato, adattandolo ai tempi che stiamo vivendo, il concetto di fragilità. Con i primi provvedimenti in termini di contrasto alla pandemia il Governo ha iniziato a riferirsi ad alcune categorie di persone, prevalentemente lavoratori e minori invalidi o portatori di handicap che, vista l’emergenza sanitaria in corso, necessitavano di particolari ed urgenti tutele.
E così, mentre per gli studenti non si è fatto inizialmente riferimento allo stato di fragilità in quanto i provvedimenti emanati prevedevano la chiusura di tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, a necessitare di una immediata tutela sono stati i lavoratori disabili o comunque soggetti a particolare rischio legato allo stato di salute. Pertanto, i primi provvedimenti legislativi di marzo (art. 26 D.Lgs 18/20), inquadravano i soggetti fragili in quei “lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità (L.104/92 – art.3 com.3), nonché i lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita e i lavoratori affetti, in maniera cronica acuta, da malattie respiratorie” assicurando loro tutele sul lavoro; e ancora, in aprile (Circolare Ministero Salute n.14915 del 29/04/20), il Governo dichiarava che lo stato di fragilità “va individuato nelle condizioni dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti (due o più patologie) che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto, anche rispetto al rischio di esposizione a contagio” e “per le fasce di età più elevate (come anche per le malattie croniche degenerative come, tra le altre in esempio, patologie respiratorie), la ‘maggiore fragilità’ va intesa congiuntamente alla presenza di ‘co-morbilità’ che possono integrare una condizione di maggior rischio”.
Per i soggetti minori di età è stato necessario aspettare l’approssimarsi della riapertura delle scuole, quando il Ministero dell’Istruzione è intervenuto sull’argomento emanando un Protocollo di Sicurezza per l’avvio dell’anno scolastico in sicurezza per il contenimento della diffusione di COVID19 (Prot. N°87 del 06 agosto 2020). All’art.8 di detto protocollo viene infatti previsto che “al rientro (a scuola) degli alunni dovrà essere presa in considerazione la presenza di “soggetti fragili” esposti a un rischio potenzialmente maggiore nei confronti dell’infezione da COVID-19. Le specifiche situazioni degli alunni in condizioni di fragilità saranno valutate in raccordo con il Dipartimento di prevenzione territoriale ed il pediatra/medico di famiglia, fermo restando l’obbligo per la famiglia stessa di rappresentare tale condizione alla scuola in forma scritta e documentata”.
Pertanto le famiglie che hanno ritenuto che il proprio figlio potesse rientrare nella categoria di “persona fragile” sono state chiamate a comunicare tale condizione alla scuola, documentando lo stato di fragilità con una certificazione adeguata.
Ma chi è il soggetto deputato a riconoscere lo stato di fragilità? E soprattutto la domanda è: chi è affetto da Fibrosi Cistica è un soggetto fragile?
Il medico competente al quale il soggetto interessato può consegnare la certificazione rilasciata dal Medico di Medicina Generale (MMG) o dal Pediatra di Libera Scelta (PLS); questi, attraverso il certificato anamnestico nel quale metteranno in evidenza tutti gli elementi necessari (patologia, co-morbilità, terapie in atto, riconoscimento di invalidità e/o handicap) contribuiranno alla valutazione dello “stato di fragilità” dello studente o del lavoratore. La sola certificazione di handicap (verbale di Legge 104 in forma di gravità – art. 3 comma 3) o di invalidità civile (minore invalido con indennità di frequenza o indennità di accompagnamento o adulto invalido con una determinata percentuale) infatti, non sarà sufficiente a riconoscere il diritto allo stato di fragilità.
Possiamo dire quindi che, per tutto quanto abbiamo elencato fin qui, la persona affetta da Fibrosi Cistica, sia essa minorenne che maggiorenne, rientra pienamente nel diritto al riconoscimento dello stato di fragilità ed è pertanto lecito chiedere al medico la certificazione che lo attesti.
Ad oggi il rischio di fare confusione è ancora molto elevato, perché resta difficile barcamenarsi tra legislazione in continuo cambiamento, terminologia specifica, diritti e tutele sempre in scadenza, e a farne spesso le spese, lo sappiamo, sono i diretti interessati, ovvero le persone più vulnerabili.
Per maggiori info contatta il Servizio Sociale LIFC al numero verde 800 91 26 55 oppure alla mail assistentesociale@fibrosicistica.it